Non tocco questo blog da un tempo immenso. Per un attimo non ricordavo più cosa avessi scritto, quando lo avessi aperto. Mi sembra un’altra vita, che ricordo a tratti ma perlopiù sbiadita.
Eppure ho sfogliato qualche contenuto, quanto mi manca scrivere e basta. Così, liberamente. Sono settimane che ripenso a questo blog, se chiuderlo definitivamente o riprenderlo in mano. Certo non sono più la stessa di anni fa, eppure sento che avrei ancora tanto da scrivere.
Ne avrò il tempo? Mi sono chiesta anche questo. Perché buttare un contenuto lì e poi lasciarlo vuoto per anni o mesi non vorrei farlo di nuovo. Quello che manca è il tempo, quel maledettissimo tempo che ci corre tra le mani, che ci sommerge di lavoro e responsabilità, di cose apparentemente irrimandabili.
Ho messo di tutto prima di questo blog negli ultimi due anni, che sono stati i più grandi della mia vita. Grandi perché ho lavorato tantissimo, giorno per giorno, per realizzare e arrivare dove volevo essere. E adesso, ora che ho raggiunto il primo traguardo che mi ero posta, realizzarmi entro i 30 anni nel lavoro, qualcosa manca. Scrivo dalla mattina alla sera, scrivo di quello che accade nel mondo e non potrei esserne più felice.
Ma ogni redazione toccata, ogni turno ricoperto, ogni collega incontrato, ogni capo ascoltato, ogni comunicato inviato, ogni notizia trattata, ogni regola seguita, è il mio lavoro. Da seguire con responsabilità, fatica e serietà. E in mezzo a tanto lavoro, a tanti progetti, ai prossimi traguardi da puntare, ci sono più di due anni pieni di svolte e cadute, colpi al tappeto e incredibile voglia di godermi ogni cosa sul momento.
Perché viviamo tempi incerti e l’unica certezza è questo momento qui. E così adesso vorrei prendermi un pezzo di spazio per me, raccontarvi il mondo con i miei occhi e dare spazio a tutto purché sia vita scritta.
Nietzsche diceva: “Penso che l’autunno sia più uno stato d’animo, che una stagione”, ed è da qui che parte la mia riflessione di oggi.
Siamo ormai dentro la stagione dell’autunno e, benché tra Nord e Sud in questi giorni ci siano delle sostanziali differenze climatiche, perfino in quelle città dove ancora c’è un clima fortemente estivo l’autunno si fa sentire. Magari lui in queste città più calde sta provando a nascondersi: il sole forte, l’assenza delle piogge, il cielo sereno, la mancanza delle nuvole grigie. Forse non tutti abbiamo ancora indossato i primi maglioni comodi, quelli che tendono a farci sentire un po’ protetti, spesso molto larghi, quasi che potremmo nasconderci dentro. Eppure, anche se non si respira l’aria fresca e frizzante, anche se molti di noi sono ancora con le maniche corte, l’autunno c’è. Ed è dentro di noi. È uno stato d’animo.
L’autunno è un periodo che porta con sé riflessione, malinconia, a tratti anche nostalgia. Abbiamo la tendenza a riflettere poco sulle stagioni intermedie, autunno e primavera, e a considerare quelle principali, inverno ed estate, come quelle maestre. Le vediamo come le due stagioni forti, le due stagioni che dividono l’anno. Come se quest’ultimo fosse fatto per metà dall’inverno e per metà dall’estate. E le altre due stagioni, piccoline, come se fossero lì solo per dare un attimo di pausa prima di entrare in una delle due grandi stagioni. Eppure non è così, le due stagioni dell’intermezzo hanno un’importanza fondamentale. Sono entrambe due stagioni di rinascita. Solo che la primavera porta con sé una rinascita allegra e gioiosa, una rinascita piena di energia, come quando la mattina ti svegli dopo aver dormito tutta la notte. Sì, hai un attimo di stordimento, però poi sei pronto per iniziare la giornata. Ecco la primavera è così. Dopo il freddo, dopo un periodo carico e pesante è come se arrivasse per un attimo un momento più leggero. Invece l’autunno è una stagione malinconica e nostalgica. Però viene vista solo come questo, ma in realtà è molto altro. È molto di più. Anche l’autunno è una stagione di rinascita, una stagione che può essere vista in chiave positiva. L’autunno ha una magia di colori, una magia di giochi della natura, unica. Anche se a tutto questo oggi, con la vita frenetica che facciamo e con l’importanza che diamo alle cose materiali, sembriamo non accorgercene nemmeno. Eppure, se ci fermassimo solo un attimo ad osservare la natura potremmo, probabilmente, anche riconoscerci in essa.
In autunno, se ci prendessimo del tempo per camminare, potremmo imbatterci in tappeti di foglie. Questa è la prima metafora, la prima cosa che dovremmo attenzionare. Le foglie che cadono vengono viste come qualcosa di morto, che cade via. In realtà c’è di più. Le foglie che cadono rappresentano le cose che inevitabilmente dobbiamo lasciare andare, le cose che non possono più stare con noi, che non dobbiamo più tenere. Anche se a volte vorremmo metterci noi controvento per cercare di tenerle. Quante volte nella vita ci capita di tenere qualcosa non perché ci fa felici, non perché è quello di cui abbiamo bisogno, ma semplicemente per abitudine o per paura? La paura del salto nel vuoto. Perché, lasciando andare qualcosa, non sappiamo con cosa ci ritroveremo. Magari con niente, o magari con qualcosa di più bello che ci sta aspettando e che non può entrare nella nostra vita perché noi stiamo occupando quel posto con qualcosa che non ci appartiene più. Ad esempio i rapporti sbagliati. Rapporti che non ci fanno bene, che forse nemmeno ci piacciono più, che non hanno più neanche un significato. E ancora, un lavoro che ci rende frustrati, una casa che non ci fa sentire “a casa”, una città che non ci fa stare bene, che non ci fa respirare. A volte è come se restassimo incastrati nelle situazioni, come se ci volessimo far del male da soli. Incolpiamo la vita per le situazioni sbagliate che ci accadono, ma quante volte quelle situazioni sbagliate siamo noi ad alimentarle e a tenerle in piedi? Come le foglie, impariamo a lasciare andare. E se all’inizio avremo la sensazione di essere rimasti senza nulla, dobbiamo semplicemente aspettare che germoglino nuove foglie. Che per l’uomo potrebbero rappresentare nuovi incontri, nuove opportunità, nuove situazioni.
L’autunno dovrebbe essere visto come un nuovo inizio: le foglie cadono, si tagliano i rami secchi e si riparte, da se stessi. È un momento di rinascita. Un momento in cui si fanno grandi riflessioni, si traccia un bilancio delle nostre azioni. In realtà è questo il momento in cui si fa un vero bilancio dell’anno che è appena passato, che non coincide con dicembre, ma con la fine dell’estate e con l’entrata dell’autunno. Raccogliamo quello che abbiamo seminato durante l’anno e, se abbiamo seminato bene, siamo contenti. Se invece quello che abbiamo seminato non ci piace, se guardandoci indietro non siamo soddisfatti, allora dobbiamo cambiare qualcosa. Faremo nuovi propositi e impareremo a prenderci cura di noi stessi.
L’autunno è una stagione che inevitabilmente ci fa guardare indietro, ci fa vedere cosa stiamo lasciando. E quando dobbiamo lasciare qualcosa abbiamo sempre una sorta di tristezza. Però, in realtà, questo sguardo al passato, questa tristezza, può darci la cosa più importante di tutte: l’esperienza. Di solito siamo portati a guardare le situazioni precedenti che ci hanno fatto male, o che non si sono concluse come volevamo, con due diversi stati d’animo. Uno è quello della rabbia, quando abbiamo forti rancori e sentimenti rabbiosi. L’altro è quello della chiusura, quando una situazione ci ha fatto così male che facciamo finta di non vederla più. Perché non siamo pronti a guardarla davvero e a trarre da essa l’insegnamento che vorrebbe lasciarci. Invece dovremmo imparare a trarre solo il positivo dalle situazioni che ci hanno fatto male. Esperienza. E può servirci, per provare a fare andare meglio le situazioni che verranno. Può servirci a farci capire cosa abbiamo sbagliato, cosa avremmo potuto fare meglio. Dovremmo imparare ad accettare che, per quanto ci abbia ferito, quel dolore ci ha fortificati.
L’autunno è una stagione molto silenziosa. Alcuni cercano di riempire questo silenzio a tutti i costi, quasi che non vogliamo ascoltarlo e ascoltarsi. Invece il silenzio non va per forza riempito, a volte il silenzio va semplicemente vissuto. Magari potremmo imparare a sederci accanto ad un albero, forse ci renderemmo conto di quante cose ci può insegnare. Gli alberi ci insegnano il vero senso del cambiamento: lasciare andare quello che non serve più, le foglie e i rami, ma rimanere chi siamo, nei nostri valori, nei nostri tratti principali, nei nostri sogni, nei nostri affetti più cari e nei nostri amori più veri. Ciò che siamo è simboleggiato dalle radici, che non vengono sradicate dall’albero.
Anche i colori sono importanti durante l’autunno. Sono, per la maggior parte, colori molto caldi. Come le tonalità del marrone, o le variazioni brillanti del verde. Sono tutte tonalità che ci fanno pensare alla terra. Ed è appunto sul concetto di terra e radici quello su cui dovremmo soffermarci. Anche se molti vedono nell’autunno solo un tempo di freddo e tristezza, esso in realtà può essere anche simbolo di calore. Un calore che significa imparare ad abbracciare anche quando non sembra il tempo giusto. Un calore che significa imparare a vedere il sole anche quando non è la sua stagione.
L’autunno è un tempo particolare. È un tempo in cui dobbiamo imparare a fare i conti con quello che speravamo ci lasciasse l’estate, e invece non l’ha fatto. L’estate spesso ci lascia dei buoni propositi, essa è forse la vera fine dell’anno e il vero inizio dell’anno nuovo. Quanti buoni propositi facciamo per settembre? Quanti programmi? Quanti nuovi inizi sperati? Poi settembre arriva, e forse non siamo ancora pronti per concretizzarli. Forse ci siamo imposti un tempo troppo preciso per fare accadere troppe cose. Il problema è che il tempo preciso non esiste. Forse a volte abbiamo bisogno di più tempo. E, il fatto che abbiamo paura a prendercelo questo tempo, il fatto che pensiamo di non meritarcelo dovrebbe farci capire che a volte siamo noi a remare contro noi stessi. Allora l’autunno è quel periodo intermezzo che ti sta dicendo “c’è ancora tempo. Ti aspetto prima dell’inverno. Ti faccio da ponte con esso. Tu prenditi il tuo tempo. Prova a realizzarli i progetti che ti eri messo in testa, i programmi che avevi fatto. Impara anche ad essere flessibile però, a non colpevolizzarti e a non rimproverarti se non riesci a rispettare tutte le scadenze. Impara a viverlo il tempo, ma a non comandarlo. Perché il tempo non lo puoi comandare.” Ecco, se il tempo potesse parlarci sono certa che ci direbbe esattamente questo. L’autunno è quella stagione nella quale sembra che il tempo rallenti. E questa lentezza del tempo va vissuta. È un periodo introverso. Un periodo in cui bisogna prendersi un po’ di tempo per sé. Chiudere gli occhi e provare a sentire l’aria. Non soltanto a respirarla, ma ad ascoltarla. A sentire il rumore del vento, a sentire il tempo del cambiamento e, chissà dove ci porterà.
L’amore è chiudere gli occhi e sentirsi a Casa. L’amore è stare in un abbraccio e sentirsi in pace. L’amore è mettere qualcun altro prima di tutto, anche di te stesso. Migliorarsi, smussarsi, incastrarsi. L’amore è pensare al domani come migliore di oggi. L’amore è pazzia, follia. Agire senza un senso logico. Abbandonare la testa e la ragione. Seguire il cuore. Fare promesse che non si manterranno, programmi che non si realizzeranno, progetti che non si concretizzeranno. L’amore è stanchezza, rabbia, litigio, paura, distanza. ma è anche il sole e il sereno dopo tutto questo.
«Come fai a capire se un uomo ti piace veramente?»
«Lo capisco da tante cose. Ad esempio quando mi regala una rosa.»
«Ah ami i fiori?»
«No, per niente. Innanzitutto non ho il pollice verde, un fiore con me muore subito. Mi secca cambiare l’acqua e tutte quelle cose lì… Lo scordo e non ho il tempo né la voglia. Poi il mio primo fidanzato me ne aveva regalati così tanti, ogni volta che doveva farsi perdonare, che da quel momento non li ho più sopportati. Le rose poi… le sopporto ancora meno! Sono banali. Il primo fiore a caso che tutti regalano. Impegnati un po’, no? Studia chi ami, trova qualcosa di particolare. Scopri il suo fiore preferito.»
«Quindi che succede quando ti regalano dei fiori?»
«Li butto subito, manco a fare la fatica di prendere un vaso, pulirli, sistemarli. Ma… quando qualcuno mi piace davvero tutto cambia. Scelgo il vaso più bello che ho a casa, la stanza e l’angolo migliore per la luce, l’acqua ogni giorno pulita. E poi…»
«E poi?»
«Devi sapere che quando ero piccola avevo provato a conservare qualche rosa che mi avevano regalato. Volevo il ricordo. Ma non ci riuscivo mai: se aspettavo che morisse e poi la conservavo seccava, e quando la riprendevo si sbriciolava tra le mani. Un giorno mi si è avvicinata mia nonna, mi ha sorriso, e mi ha detto “Non aspettare che la rosa sia morta del tutto, prima che accada prendila e taglia il gambo; non interamente, devi lasciarne un pezzettino. Poi mettila a testa in giù, al buio, dentro un cassetto o un mobile. E lasciala lì per alcuni giorni, anche una settimana. Quando la prenderai vedrai che è morta, sì, ma non si sbriciola. Avrà la consistenza perfetta e la conserverà sempre. Così tu avrai il tuo ricordo”. Provai e funzionò.»
«Un bel da fare per una che non ama i fiori.»
«Esatto. Ecco perché quando un uomo mi regala una rosa, se io la guardo, e sento già che la metterò al buio per poterla conservare, vuol dire che quell’uomo è qualcuno di importante per me.»