L’odore degli abbracci.
Quelli stretti, caldi.
Quelli che bastano così tanto
da non aver bisogno di aggiungere parole.
L’odore degli abbracci.
Quelli dopo i litigi.
Improvvisi, istintivi.
Quelli che risolvono tutto.
Quelli che, un attimo prima di andare via,
ti fermano e ti fanno pensare:
“Se mi tieni io resto”.
Tag: abbracciarsi
Mi prenderò cura di te
La prima volta che ti ho rivista, nonna, ho pensato che il mio cuore non avrebbe retto a tutte quelle emozioni. Tu sei diventata così piccola, così fragile, così da stringere.
La prima volta che ti ho riabbracciata le gambe sembravano cedermi, ma mi sono fatta forza per sorreggere anche te. Guardarti, in quel momento, mi ha provocato un uragano di emozioni: ricordavo cos’era stato crescere insieme a te, stare sempre tra le tue braccia. Ma anche i problemi, le litigate, i tradimenti,
e il rumore forte di quella porta che avevo sbattuto prima di andare via l’ultima volta, anni fa. Se mi chiedessero qual è la cosa che
mi ha colpita di più la prima volta che ci siamo riviste risponderei la complicità. Il tuo tempestarmi di domande, il tuo volermi raccontare tutto come se fosse un giorno qualunque, come se quel tempo distante non
ci fosse mai stato. È bastato un secondo per capire che i legami speciali il tempo e la distanza non possono cambiarli. Si interrompono e riprendono esattamente da lì. Mentre mi guardavi mi sono chiesta se sono come tu mi avresti voluta, la donna che speravi che io diventassi. Poi, vedere i tuoi occhi felici ha reso felice anche me.
Io non posso fingere davanti alla vita che tutto il dolore che è stato io non lo senta ancora in ogni centimetro del mio cuore, che non ricordi quanto mi siano costate ogni giorno quelle ferite. Ma io avrò una vita per ricucirle, mentre troppo poco ne avevo per perdonarti.
Ti prometto che in questo tempo che abbiamo sarò io a tenerti tra le mie braccia, come facevi tu con me quando ero piccola.
Sarò io a cullarti e a prendermi cura di te.
E quando mi mancheranno le parole ti guarderò con i miei “occhioni” che tanto ami.
E spero proprio che loro sappiano colmare tutto quello che non è stato e riempire tutto quello che sarà.
Al sicuro
Guardarti negli occhi mi ha sempre
calmato il cuore. Lo sai, sono stati i
tuoi occhi a farmi innamorare di te.
L’ho capito le prime sere in cui uscivamo,
quando li avrei potuti guardare per ore
senza stancarmi. Lo so, ho sempre parlato
poco e questo ti infastidiva. Il silenzio a te
non piace. Il silenzio non piace neanche
a me: pensare di non aver più nulla da dire
a chi mi sta accanto, pensare di camminare
insieme nella vita solo in apparenza e poi
ognuno viaggia in un mondo suo, pensare di
perdersi piano piano. Ecco questo è il silenzio
che mi fa paura. Amo però un altro tipo di
silenzio, quello in cui sembra parlare l’anima,
quello che era fatto dei miei occhi che si
perdevano dentro i tuoi, quello fatto di calma
e serenità. Quella serenità che aspettavo da
tutta la vita, quella che il nostro silenzio
riusciva a donarmi. Stare in silenzio non è
facile come sembra. Quando il silenzio pesa,
quando devi inventarti qualcosa da dire,
quando sembra che bisogna parlare per forza,
vuol dire che non sei con la persona giusta.
Quando invece in silenzio si può stare, quando
lo riesci ad abitare, a respirare, ecco che hai
trovato Casa. Ogni volta che ti vedevo da lontano aspettarmi, ogni volta che aprivo la macchina,
ogni volta che mi aprivi la porta di casa,
nonostante il freddo, il sole e la pioggia, io
ti guardavo da lontano e già sorridevo.
Sorridevo perché, anche se sei sempre bello,
quando mi vedevi spuntare in lontananza
mi sorridevi anche tu e mi guardavi come
chi vede la cosa più bella tra tutte, ed era quel
tratto piccolo di strada che facevo verso di te a rendermi già felice. Per poi arrivare e abbracciarti. “Sono a Casa” pensavo in silenzio ogni volta,
anche se non riuscivo mai a dirtelo.
Tu mi guardavi, mi spostavi i capelli,
mi fissavi negli occhi. Quegli occhi che amavi tanto
e nei quali sentivo perderti ogni volta.
Ogni volta che mi vedevi, anche se mi avevi vista
pochi giorni prima, sembravi cercarmi,
sembravi aver paura di non ritrovarmi.
E quando ti rendevi conto che ero ancora lì per te,
solo tua, sorridevi di nuovo e mi abbracciavi, mi stringevi forte. Abbiamo avuto molti problemi,
è vero, continue lotte contro tutti e tutto,
e perfino tra noi due stessi, fino a diventare
così stanchi. Fino a convincerci che perderci
fosse la cosa migliore. So che stare con me
non è facile, so che la mia non serenità si
ripercuoteva a volte con te, e forse l’avrebbe fatto ancora, o forse no. Avrei voluto solo che tu fossi
rimasto. Voglio dirti una cosa che fino ad oggi
tutte le mie insicurezze e le mie fragilità non
mi hanno permesso di dirti: io ti avrei scelto
di nuovo, ti avrei scelto ancora, ti avrei scelto
sempre. Hai presente quando torni a casa,
posi le chiavi all’ingresso, e sorridi perché
sai di essere al sicuro? Ecco cosa eri per me.
Respirarsi
Respirarsi. Se dovessi spiegare l’amore lo farei così. Qualcosa di estremamente intimo e complice. Respirarsi, a pochissima distanza, naso su naso. La stessa aria. Come a diventare un solo respiro.
Un po’ come quando un abbraccio combacia in maniera perfetta, cuore su cuore, fino a non distinguere più due battiti, fino a diventare un unico battito. Respirarsi è così. E non è da tutti. Non è per tutti. Vuol dire la stessa aria per due. E respiri bene.
Lo sai?
Sai quando è stata la prima volta che mi sono davvero interrogata su chi fossi per me? Quando eravamo insieme, in mezzo agli altri, e mi voltavo sempre verso di te per cercarti con lo sguardo.
L’altro giorno ho pensato alle prime volte che provavamo a conoscerci, alle prime parole scambiate. Mi piaceva come parlavi, le cose che sapevi, quelle che dicevi. Altre cose non le sopportavo già, però erano di meno. O forse erano di più ma sempre troppo poche di fronte all’Amore. Perché di amore si trattava. Anche quando mi imponevo di non ammetterlo.
E sai un’altra cosa che mi aveva fatto capire quanto contassi per me? Quando ero in piedi accanto a te e speravo ti avvicinassi a me. Ancora me la ricordo la prima volta che goffamente mi hai abbracciata, la prima volta che tra l’imbarazzo e la paura mi hai stretta a te. E lì, altra cosa che mi ha dato da pensare. Perché io non amo il contatto umano, sono difficile. Eppure il tuo non mi aveva dato fastidio, ci stavo bene.
Non è niente
Quando una donna ti dice “non è niente”
tu guardala negli occhi
e dille che quel niente
lo sistemerete insieme.
E poi abbracciala. Forte.
Tienila stretta.
Ci sono donne difficili
che si sono dovute difendere una vita intera
e che se hanno bisogno di te non te lo sanno dire.
Poi sei arrivato tu
Credere di meritare il meglio, me l’hai fatto capire tu.
Io prima di incontrarti mi ero sempre accontentata, di amori sbagliati, distratti, assenti. Mi ero accontentata del poco che sembrava capitarmi. Perché anche io mi sentivo troppo poco, e allora pensavo che quel poco fosse già tanto per una come me.
Poi sei arrivato tu: volevi fare le cose in due, volevi che non fossi sola, volevi esserci sempre, volevi vivere il tempo insieme. Volevi abbracciarmi forte. Più forte di tutto il male che c’era stato prima di te.
Io solo con te ho capito di potere avere anche io un amore presente, felice, forte, completo.
Non te l’ho mai detto, ma è stato grazie a te se ho iniziato ad amare me stessa.
Ci siamo insegnati tanto
L’unica cosa che spero è di averti lasciato qualcosa. Ci siamo insegnati tanto a vicenda, non trovi? Tu per esempio mi hai insegnato che farsi aiutare non è un segno di debolezza, e che dove non arrivavo da sola saremmo potuti arrivare in due. Ti ricordi quando non riuscivo a montare quel pupazzetto trovato dentro l’uovo? Sì sembra un ricordo banale, ma è proprio dalle piccole cose che si impara di più. Tu insistevi per ascoltarti e montarlo diversamente, ma io non volevo aiuto, dovevo farcela da sola, come sempre. Ma non riuscivo a montarlo. Alla fine ti sei avvicinato un attimo e l’hai sistemato tu. Non sono portata per le costruzioni sai? Forse nemmeno quelle dei rapporti. Per questo ero così abile a distruggere sempre tutto. Ricordi che te lo dissi una volta, all’inizio, una delle tante in cui io puntualmente scappavo? Ti dicevo sempre di lasciarmi andare. Un giorno ti ho detto «io sono così, non le so gestire le cose belle che mi spaventano, ma sono bravissima a rovinarle». E tu mi hai detto «smettila e lascia fare a me, che le cose belle non è mio uso distruggerle». E ti ho lasciato fare. Per fortuna. Tu avevi questa capacità di tenermi sempre. Stretta. Nel modo giusto. Nel modo per me. Riuscivi a scavalcare tutti i muri che mettevo. Alti, duri, spessi. Insormontabili per chiunque, tranne che per te. Io ti respingevo e tu eri sempre là.
Ah e poi mi hai insegnato a prendere del tempo e a non farci nulla. Ricordi la mia incapacità di rilassarmi? Di riposarmi? Il mio continuo lavorare? Il mio continuo fare? Perché altrimenti pensavo di stare sprecando tempo? Sei stato l’unico che riusciva a farmi passare delle ore senza fare nulla, ad alzarci tardissimo la mattina, o solo a stare abbracciati sul divano. Che poi non è vero che era nulla, era tantissimo.
E io cosa ti ho insegnato? Una cosa la ricordo. Quando preparavamo la pasta che dovevi portarti l’indomani al lavoro, ricordi? Tu la mettevi ancora calda nel contenitore, chiudevi subito ermeticamente e poi la mettevi in frigo.
«Non dovresti farlo» ti ho detto un giorno «il frigo si rovina e poi fa male chiudere i cibi ancora caldi».
All’inizio non mi hai presa sul serio, poi mi hai guardata con scetticismo, infine quella sera prima di coricarci ho visto che la pasta l’avevi lasciata sul tavolo a raffreddare. Non ti ho detto nulla, non mi interessava prendermi meriti, ma ho sorriso.
Come quella sera che non eravamo insieme, mi hai mandato un messaggio e mi hai scritto “amore mi sono preparato il riso da portarmi al lavoro domani, adesso l’ho messo nel contenitore e l’ho lasciato aperto, aspetto che si raffreddi prima di metterlo in frigo… proprio come mi hai insegnato tu”.