Mormora, la gente mormora

19 Ottobre 2020

Crescere interiormente significa anche rendersi conto, e accettare, che il mondo non possiamo cambiarlo tutto noi. Che c’è una parte marcia e tale resterà. Che la cattiveria è dentro alcune persone e non puoi sperare che diventino buone. Il bene e il male c’è in ognuno, fa parte dell’essere umano. E’ un’estrema lotta in tutti. Ma in alcuni emerge la parte buona, in altri invece quella cattiva prende il sopravvento.

E’ la vita. E’ la storia dell’uomo. Ma se non possiamo cambiare il mondo possiamo però cambiare noi stessi. Il nostro modo di approcciarci alle cose, di viverle, di prenderne consapevolezza. Dobbiamo imparare a pesare il nostro malessere in base a quanto valgono le persone. Inutile dire che non vogliamo stare male, dare peso a nulla. E’ impossibile. Abbiamo il diritto di stare male, al massimo, per la nostra famiglia, per un fidanzato, per un amico caro. Ma non oltre.

Una volta stavo male per tutti. Mia nonna quando ero piccola mi diceva: “Non puoi stare male per tutti i mali del mondo”. Così è stato. Stavo male quando gli altri stavano male. Stavo male per le ingiustizie. Anche se ciò non mi riguardava in prima persona. Poi stavo male anche per le mie di ingiustizie, per il mio di dolore, per la mia di vita. Per il pensiero di tutti, l’opinione di ognuno, il giudizio dei tanti. E allora diventava tutto troppo grande.

Stavo male anche per la persona sconosciuta che sparlava di me. Che si prendeva il diritto di dire di conoscermi, di sapere cose di me. Necessario, a loro, per riempire il vuoto che li attorniava. Necessario a loro per non fare i conti con i propri fallimenti. Necessario a loro, ma non a me. Così, se prima quelle cose dette sulla mia persona mi davano il tormento, oggi passo avanti. Quelle cose sulla mia persona che, quasi sempre, non solo non sono vere, ma sono anche quanto di più possibile distanti da me. Da ciò che ero. Che sono. Dalla mia realtà.

Col tempo ho capito che gli altri diventano importanti se noi gli diamo importanza. Che gli altri possono farci stare male se noi gli diamo il potere di farlo. Io, oggi, questo potere non lo do più a nessuno.

L’Amore è uno

Crescendo capirai che l’Amore è uno. Uno solo. Uno soltanto. Capirai che gli altri sono affetti, amicizie, conoscenze, legami più o meno importanti che per qualche motivo andavano vissuti. Forse per farti crescere. Forse per farti riconoscere l’Amore. Uno solo. Uno soltanto. Capirai e lo riconoscerai. Subito. Oppure col tempo. Oppure in ritardo. L’Amore. Un Amore. Quello. Che stai leggendo adesso e ci pensi subito. Che adesso è con te e speri non finisca. Che hai perso e speri di ritrovare. Che non hai ancora conosciuto e sogni di incontrare. L’Amore. Uno solo. Uno soltanto. Il tuo. Scelto per te. Non da te. Dalla vita. E tu non puoi farci niente. Ti ci arrendi. O lo respingi. Comunque il tuo. Uno solo. Uno soltanto.

Come le conchiglie

Bisogna lasciare andare. Se qualcosa dovrà ricongiungersi troverà la strada per tornare verso la sua riva. Proprio come fanno le conchiglie.
Non puoi forzare le cose. Ora lo so: a volte tutto quello che devi fare è non fare più null
a.

La notte delle stelle

Della notte di San Lorenzo ricordo
sorrisi dolci a cena,
una piadina per due.
Sguardi complici e frasi perfette
dette e non dette
inizi tu e completo io.
Annusarsi la pelle
dentro quel piccolo locale fatto per due
“Perché mi annusi?” ti ho chiesto
“Ogni tanto controllo se sei reale” mi hai risposto.
Ho sorriso. Hai sorriso.
“Adesso ti porto a vedere le stelle” mi hai detto,

“al mare o in montagna?” mi hai chiesto.
“Scegli tu” ti ho risposto.
Non mi importava delle stelle:

cos’altro avremmo potuto desiderare?
Avevamo tutto, eravamo tutto.
Della notte di San Lorenzo ricordo
che guidavi con la mia mano tra la tua,
il posto bello che avevi deciso,
il cielo quasi a toccarlo
e le mille stelle sopra di noi.
5 ne avevi scelte, perché 5 erano i tuoi desideri:
“non partire”
“a Natale camminiamo con l’ombrello sotto la pioggia cercando regali”,
“andiamo a leggere un libro al parco”,
e quali erano gli altri due?
Della notte di San Lorenzo ricordo
la nostra canzone che hai fatto suonare,
e quel bacio diverso che mi volevi dare.
Io che dovevo tra poco partire
e noi che non ci volevamo staccare.

Della notte di San Lorenzo ricordo,
ricordo tutto.
Attimo per attimo.
Occhi negli occhi.
Stella per stella.

Jack e Phyllis: un esempio d’amore

Questa storia parte dalla città di Rochester, a New York. Ed è una storia vera, non un film, non un libro, non una fiction. Realtà.

Il 4 ottobre 1941, due ragazzi di 17 anni si incontrano durante una festa. Basta un solo sguardo per innamorarsi. Un solo sguardo per capire che quella sarebbe stata la loro fermata.
Jack aveva l’abitudine di scrivere, le sue emozioni, i suoi pensieri, ciò che gli capitava e che meritava di essere scritto. Oggi lo ringraziamo, perché grazie a questo abbiamo conosciuto la storia di questo amore.

Un amore che ha inizio quella sera. Quando, dopo la festa, Jack sul suo diario scrisse: «È stato un pomeriggio fantastico. Ho incontrato una ragazza meravigliosa. Ed ho ballato con lei. Spero di rivederla».

Si perdono di vista, i tempi sono complicati: è in corso la prima guerra mondiale, che stravolge tutti gli equilibri della vita.

L’amore però, quando è vero, ritorna sempre. Puoi percorrere chilometri di distanza, possono passare anni, nel mezzo può accadere qualsiasi cosa. Ma l’amore, quell’amore, torna. Torna sempre. Perché di fronte all’amore non può vincere nemmeno la volontà umana, di allontanarsi, partire, dimenticare. Non puoi. La vita prima o poi ti rimetterà di nuovo a faccia a faccia con l’amore che ha scelto per te. Il tuo. Uno solo.

Il 20 febbraio 1943 Jack e Phyllis si incontrano di nuovo. Si guardano. Nulla è cambiato. Lui le chiede di sposarsi, lei accetta.

Jack fino a 90 e più anni scrive tutto. Annota tutto sul suo diario. Di quella storia d’amore che non ha avuto fine. Piena di attimi felici, certo, ma anche di momenti difficili, in salita, momenti in cui molti altri avrebbero mollato. Lui no, loro no. Si sono impegnati, giorno per giorno, per non far finire la loro storia. Lui mettendoci un pizzico in più di tutto: di fatica, d’amore.

Nel 2008 Phyllis comincia a non stare bene. Si ammala di demenza senile. All’inizio in maniera lieve, poi sempre più grave.

In quel momento Jack soffre in prima persona, come se la malattia avesse colpito lui. Perché Phyllis, spesso, comincia a non riconoscerlo più.

Jack prova a curarla, da solo, in casa. Ma non ci riesce. Così Phyllis viene ricoverata in un centro specifico. Ma il marito non l’abbandona. Né si perde d’animo di fronte alla perdita di memoria, che la malattia comporta, per Phyllis.

Non possiamo nulla di fronte alle malattie, non siamo farmaci, non siamo la scienza. Ma possiamo amare. E, a volte, l’amore è davvero più forte di tutto. Così Jack decide di non arrendersi. E per quanta disperazione sente dentro di lui tutte le volte che lei non lo riconosce, non può accettarlo. Non può accettare che la donna che ama da 70 anni, con la quale ha condiviso ogni giorno della loro vita insieme, abbia dimenticato tutto.

Jack decide che la malattia non avrebbe vinto di fronte all’amore. Sì, avrebbe aiutato Phyllis a ricordare. Anzi, l’avrebbe aiutata a non dimenticare. Non loro, non la loro storia, non la loro vita insieme.

Ci riesce, o almeno ci prova, grazie ai preziosi diari che Jack ha scritto durante gli anni. Con quelli, può raccontare a Phyllis chi sono stati durante i loro 70 anni d’amore.
Nei loro dialoghi, nei loro litigi, nei loro attimi più belli e in quelli più semplici durante i quali hanno vissuto la quotidianità.
Perché Jack non ha mai smesso di scrivere quei diari. Nei quali ha sempre parlato di lei. E di tutte le cose che hanno fatto insieme.

Da 10 anni Jack, ogni giorno, si reca nella casa di cura dove la moglie è ricoverata. Passano il tempo insieme. Lui non l’abbandona un solo attimo. Le parla, le legge la storia della loro vita. Stringendola a sé, quando Phyllis glielo permette, quando non lo vede troppo come un estraneo. E lui stringe più forte in quegli attimi in cui lo riconosce, per provare a fare scorta del calore e del contatto della moglie. Gli serve durante i giorni più duri, i più frequenti. Quando Phyllis non riesce a farsi abbracciare, quando per lei quello non è il marito né l’uomo che ha amato per una vita. Non sa chi sia. Sono proprio quelli gli attimi in cui Jack soffre di più. Gli attimi in cui, spesso, sarebbe scappato. Ma non l’ha mai fatto. Ha accettato, ha aspettato paziente i giorni migliori.

E c’è stato un giorno migliore. Un attimo migliore. Quello in cui Phyllis l’ha riconosciuto. Quello in cui, per un attimo, sono ritornati ad essere Jack e Phyllis. Quello è stato l’attimo che ha dato forza a Jack.

Così, ogni mattina, lui si affaccia nella stanza della moglie. La guarda per un attimo, prima di entrare, sperando che quello sia un giorno giusto. Un giorno in cui essere riconosciuto, o almeno accettato accanto, tra le letture di quei diari. E se così non sarà, se quello non sarà il giorno giusto, non importa. Jack entrerà comunque. Jack ci sarà sempre. Con lei. Per loro.

Ogni giorno Jack e Phyllis rivivono la loro storia d’amore come se fosse il primo.

La stima di mia madre

L’amore è mia madre
che davanti a tutti,
durante un gioco da tavolo,
alla domanda stupida “a quale personaggio ti ispiri?”
non risponde nessun supereroe né personaggio famoso come gli altri che hanno risposto prima di lei,
ma mi guarda da lontano
e dice: “a mia figlia. Vorrei essere come lei. È la donna più forte che conosco, senza di lei non sarei riuscita a fare nulla”.