Lui le disse

«Ho letto le parole che hai scritto su di lui. Mi dispiace non essere io quell’amore che per te meritava oggi di essere salvato, mi dispiace non esserci stato quando hai provato a salvare il nostro e di aver capito troppo tardi la differenza che la mia vita aveva con e senza di te. Pazza per come sei, la metà perfetta di un sole caldo e premuroso e di una luna malinconica e silenziosa. Mi dispiace avere lasciato passare quel tempo e non averti tenuta più stretta quando avrei potuto. Ti ho persa, lasciandoti ad un altro, quando non ti ho tenuta abbastanza forte, quando ti ho lasciata andare. Tu non hai colpe, andare avanti e innamorarsi di un altro non è mai una colpa, mi dispiace di avertene date. Oggi non ti posso costringere in nulla, non posso obbligarti ad amare ancora e di nuovo me, ma io continuerò a pregare che un giorno vicino o lontano i tuoi occhi possano riguardarmi come mi guardavano una volta. Ti aspetterò sempre.»

Al sicuro

Guardarti negli occhi mi ha sempre
calmato il cuore. Lo sai, sono stati i
tuoi occhi a farmi innamorare di te.
L’ho capito le prime sere in cui uscivamo,

quando li avrei potuti guardare per ore
senza stancarmi. Lo so, ho sempre parlato
poco e questo ti infastidiva. Il silenzio a te
non piace. Il silenzio non piace neanche
a me: pensare di non aver più nulla da dire
a chi mi sta accanto, pensare di camminare
insieme nella vita solo in apparenza e poi
ognuno viaggia in un mondo suo, pensare di
perdersi piano piano. Ecco questo è il silenzio
che mi fa paura. Amo però un altro tipo di
silenzio, quello in cui sembra parlare l’anima,
quello che era fatto dei miei occhi che si
perdevano dentro i tuoi, quello fatto di calma
e serenità. Quella serenità che aspettavo da
tutta la vita, quella che il nostro silenzio
riusciva a donarmi. Stare in silenzio non è
facile come sembra. Quando il silenzio pesa,
quando devi inventarti qualcosa da dire,
quando sembra che bisogna parlare per forza,
vuol dire che non sei con la persona giusta.
Quando invece in silenzio si può stare, quando
lo riesci ad abitare, a respirare, ecco che hai
trovato Casa. Ogni volta che ti vedevo da lontano aspettarmi, ogni volta che aprivo la macchina,
ogni volta che mi aprivi la porta di casa,
nonostante il freddo, il sole e la pioggia, io
ti guardavo da lontano e già sorridevo.
Sorridevo perché, anche se sei sempre bello,

quando mi vedevi spuntare in lontananza
mi sorridevi anche tu e mi guardavi come
chi vede la cosa più bella tra tutte, ed era quel
tratto piccolo di strada che facevo verso di te a rendermi già felice. Per poi arrivare e abbracciarti. “Sono a Casa” pensavo in silenzio ogni volta,
anche se non riuscivo mai a dirtelo.
Tu mi guardavi, mi spostavi i capelli,
mi fissavi negli occhi. Quegli occhi che amavi tanto

e nei quali sentivo perderti ogni volta.
Ogni volta che mi vedevi, anche se mi avevi vista
pochi giorni prima, sembravi cercarmi,
sembravi aver paura di non ritrovarmi.
E quando ti rendevi conto che ero ancora lì per te,

solo tua, sorridevi di nuovo e mi abbracciavi, mi stringevi forte. Abbiamo avuto molti problemi,
è vero, continue lotte contro tutti e tutto,

e perfino tra noi due stessi, fino a diventare
così stanchi. Fino a convincerci che perderci
fosse la cosa migliore. So che stare con me
non è facile, so che la mia non serenità si

ripercuoteva a volte con te, e forse l’avrebbe fatto ancora, o forse no. Avrei voluto solo che tu fossi
rimasto. Voglio dirti una cosa che fino ad oggi

tutte le mie insicurezze e le mie fragilità non
mi hanno permesso di dirti: io ti avrei scelto
di nuovo, ti avrei scelto ancora, ti avrei scelto
sempre. Hai presente quando torni a casa,

posi le chiavi all’ingresso, e sorridi perché
sai di essere al sicuro? Ecco cosa eri per me.

A destinazione

Ti vorrei raccontare di quella volta che, guardandomi negli occhi, mentre parlavo di te qualcuno mi disse: “ma ti sei innamorata?”
E lì ho risposto no, perché ho pensato che non poteva essere, non era il momento giusto, era troppo presto, mi dovevo ancora riprendere da tutto quello che era stato prima di te. E invece è lì che la vita ti frega, quando gli altri ti guardano e capiscono che sei innamorata. Li puoi mentire a te stessa, ma il mondo non lo freghi. E lì inizia la corsa, la paura, e inizi a scappare. Ma verso dove?

Che sei arrivata a destinazione e non te ne rendi nemmeno conto.

Scrivere della gente

All’inizio ho scritto solo della mia vita, dell’amore vissuto sulla mia pelle.
Poi non mi bastava più, perché era tutto al verbo imperfetto e dopo un po’ hai bisogno anche del tempo presente. Allora mi sono guardata intorno ed ho cominciato ad osservare la gente, quando nemmeno si accorge che la sto guardando. Mentre cammino per strada, mentre sono in metro, quando sono al mare, su un muretto, al supermercato, e ovunque. Mi innamoro dei dettagli, è sempre stato così. Allora la guardo e mi rendo conto che l’amore è dappertutto. Mi piace raccontare i gesti, oppure immaginarne il prima e il dopo, chiedendomi se l’ho indovinata la loro storia. Poi mi piace ascoltare, quando mi raccontano le loro storie, ed io le racconto dopo di loro, per loro.
Mi piace scrivere. Scrivere di ognuno. Scrivere di ogni storia. Che non è mai uguale all’altra perchè, pur essendo l’amore un concetto universale, non ne esiste copia alcuna.

Solo due chiacchiere

«Quindi quando possiamo fare due chiacchiere?»
«Te l’ho detto io sto alla larga da tutti, perderesti il tuo tempo.»
«Non la vedo come una perdita di tempo. Ho solo voglia di conoscerti di più. Da quello che ti ho sentito dire fino ad ora mi sembri una persona interessante. Che succede se scambiamo due chiacchiere? Non ho in mente nulla, non voglio nulla.»
«Ok possiamo parlare. Solo per oggi, da domani tutto finito.»
«E se io volessi restare?»

«Tanto appena inizierai a conoscermi scapperai da solo.»
«Vorrei correre il rischio.»
«E perchè?»
«Perchè ho pensato dal primo istante che con te valesse la pena rischiare.»

A piccoli passi

«Insomma ti sono mancato?» Le chiese.
«Per nulla» gli rispose, ma un sorriso imbarazzato e uno sguardo colmo di tenerezza rivelavano il contrario.
«Io credo che dovremmo darci un’altra possibilità.»
«Io credo tu sia pazzo.»
«Allora ricominciamo a piccoli passi, riscopriamoci di nuovo. Mi piacerebbe conoscerti un’altra volta. Ricordarci perchè ci eravamo innamorati, o perchè non aveva funzionato. Non farlo per me, ma per noi. Lo dobbiamo a quello che avevamo provato insieme.»
«Piccoli passi, per esempio?»
«Ad esempio, esci con me una sera?»

I ritardi della vita

Lavoravano insieme da qualche mese, eppure prima erano stati innamorati. Ed era stato un grande amore. Finito male. Come tutti i grandi amori. Poi lei si era innamorata ancora, e quando si erano rincontrati lui le aveva proposto di lavorare insieme. Ogni tanto si ritrovavano a parlare, lui la conosceva molto bene e sapeva ascoltarla. Tra di loro era sempre rimasta una grande stima.
«Secondo te perchè non ha funzionato tra noi?» Le chiese all’improvviso.
«Non lo so, credo abbiamo fatto tanti errori.»
«Abbiamo?»
«Beh sì, perchè sono sicura che quando un rapporto non funziona le colpe stanno sempre nel mezzo.»
«No, non credo. Io ho fatto molti più errori, anche se li ho riconosciuti tardi. Ho almeno l’80% di colpe.»
«Dai… il 60%.»
«No no, allora mi prendo il 70 e non ne parliamo più.»
Fecero un sorriso. Erano mesi che lei si rendeva conto di quanto fosse cambiato.
«Sei diventata più matura.» Le disse bevendo il caffè.  
«Perché, prima com’ero? Non dicevi sempre che la differenza di età con me non la sentivi?» Gli rispose, alludendo al fatto che lui fosse ben più grande.
«È vero. In passato non l’ho mai sentita la differenza di età con te. Altrimenti, per la vita che faccio, non sarei nemmeno mai riuscito a stare con te.»
«E allora?»
«E allora eri matura, eri responsabile, eri seria, ed eri bellissima. Solo che oggi lo sei un po’ di più. Sembra pazzesco, ma tu cresci e migliori ogni giorno un po’ di più. Ah, e poi non ho più incontrato una donna come te. E temo che non la incontrerò.

Jack e Phyllis: un esempio d’amore

Questa storia parte dalla città di Rochester, a New York. Ed è una storia vera, non un film, non un libro, non una fiction. Realtà.

Il 4 ottobre 1941, due ragazzi di 17 anni si incontrano durante una festa. Basta un solo sguardo per innamorarsi. Un solo sguardo per capire che quella sarebbe stata la loro fermata.
Jack aveva l’abitudine di scrivere, le sue emozioni, i suoi pensieri, ciò che gli capitava e che meritava di essere scritto. Oggi lo ringraziamo, perché grazie a questo abbiamo conosciuto la storia di questo amore.

Un amore che ha inizio quella sera. Quando, dopo la festa, Jack sul suo diario scrisse: «È stato un pomeriggio fantastico. Ho incontrato una ragazza meravigliosa. Ed ho ballato con lei. Spero di rivederla».

Si perdono di vista, i tempi sono complicati: è in corso la prima guerra mondiale, che stravolge tutti gli equilibri della vita.

L’amore però, quando è vero, ritorna sempre. Puoi percorrere chilometri di distanza, possono passare anni, nel mezzo può accadere qualsiasi cosa. Ma l’amore, quell’amore, torna. Torna sempre. Perché di fronte all’amore non può vincere nemmeno la volontà umana, di allontanarsi, partire, dimenticare. Non puoi. La vita prima o poi ti rimetterà di nuovo a faccia a faccia con l’amore che ha scelto per te. Il tuo. Uno solo.

Il 20 febbraio 1943 Jack e Phyllis si incontrano di nuovo. Si guardano. Nulla è cambiato. Lui le chiede di sposarsi, lei accetta.

Jack fino a 90 e più anni scrive tutto. Annota tutto sul suo diario. Di quella storia d’amore che non ha avuto fine. Piena di attimi felici, certo, ma anche di momenti difficili, in salita, momenti in cui molti altri avrebbero mollato. Lui no, loro no. Si sono impegnati, giorno per giorno, per non far finire la loro storia. Lui mettendoci un pizzico in più di tutto: di fatica, d’amore.

Nel 2008 Phyllis comincia a non stare bene. Si ammala di demenza senile. All’inizio in maniera lieve, poi sempre più grave.

In quel momento Jack soffre in prima persona, come se la malattia avesse colpito lui. Perché Phyllis, spesso, comincia a non riconoscerlo più.

Jack prova a curarla, da solo, in casa. Ma non ci riesce. Così Phyllis viene ricoverata in un centro specifico. Ma il marito non l’abbandona. Né si perde d’animo di fronte alla perdita di memoria, che la malattia comporta, per Phyllis.

Non possiamo nulla di fronte alle malattie, non siamo farmaci, non siamo la scienza. Ma possiamo amare. E, a volte, l’amore è davvero più forte di tutto. Così Jack decide di non arrendersi. E per quanta disperazione sente dentro di lui tutte le volte che lei non lo riconosce, non può accettarlo. Non può accettare che la donna che ama da 70 anni, con la quale ha condiviso ogni giorno della loro vita insieme, abbia dimenticato tutto.

Jack decide che la malattia non avrebbe vinto di fronte all’amore. Sì, avrebbe aiutato Phyllis a ricordare. Anzi, l’avrebbe aiutata a non dimenticare. Non loro, non la loro storia, non la loro vita insieme.

Ci riesce, o almeno ci prova, grazie ai preziosi diari che Jack ha scritto durante gli anni. Con quelli, può raccontare a Phyllis chi sono stati durante i loro 70 anni d’amore.
Nei loro dialoghi, nei loro litigi, nei loro attimi più belli e in quelli più semplici durante i quali hanno vissuto la quotidianità.
Perché Jack non ha mai smesso di scrivere quei diari. Nei quali ha sempre parlato di lei. E di tutte le cose che hanno fatto insieme.

Da 10 anni Jack, ogni giorno, si reca nella casa di cura dove la moglie è ricoverata. Passano il tempo insieme. Lui non l’abbandona un solo attimo. Le parla, le legge la storia della loro vita. Stringendola a sé, quando Phyllis glielo permette, quando non lo vede troppo come un estraneo. E lui stringe più forte in quegli attimi in cui lo riconosce, per provare a fare scorta del calore e del contatto della moglie. Gli serve durante i giorni più duri, i più frequenti. Quando Phyllis non riesce a farsi abbracciare, quando per lei quello non è il marito né l’uomo che ha amato per una vita. Non sa chi sia. Sono proprio quelli gli attimi in cui Jack soffre di più. Gli attimi in cui, spesso, sarebbe scappato. Ma non l’ha mai fatto. Ha accettato, ha aspettato paziente i giorni migliori.

E c’è stato un giorno migliore. Un attimo migliore. Quello in cui Phyllis l’ha riconosciuto. Quello in cui, per un attimo, sono ritornati ad essere Jack e Phyllis. Quello è stato l’attimo che ha dato forza a Jack.

Così, ogni mattina, lui si affaccia nella stanza della moglie. La guarda per un attimo, prima di entrare, sperando che quello sia un giorno giusto. Un giorno in cui essere riconosciuto, o almeno accettato accanto, tra le letture di quei diari. E se così non sarà, se quello non sarà il giorno giusto, non importa. Jack entrerà comunque. Jack ci sarà sempre. Con lei. Per loro.

Ogni giorno Jack e Phyllis rivivono la loro storia d’amore come se fosse il primo.

Nonna, ma tu e il nonno come vi siete innamorati?

Pensava a sua nonna. Alla lezione sull’amore che le dava sempre quando era più piccola. Le piaceva tanto farsi raccontare la storia del loro amore, quello suo e del nonno. La sapeva a memoria, ma ogni volta le piaceva riascoltarla.
«Nonna, ma tu e il nonno come vi siete innamorati?»
«Un giorno è passato sotto il mio balcone, ha incrociato il mio sguardo e ci siamo sorrisi.»
«E poi?»
«E poi nulla. Ci siamo innamorati in quel momento.»
«Soltanto?»
«Sì, l’amore non ha bisogno di grandi gesti e di grandi tempi. L’amore è un attimo. Lo capirai quando sarai più grande e ti innamorerai anche tu.»
«E quando vi siete fidanzati?»
«I tempi erano diversi da adesso, non c’era tutta questa prova di conoscenza. Il nonno dopo quello sguardo partì per il militare. Per 6 mesi mi chiamava a casa tutte le sere, per qualche minuto. Era il momento più bello della giornata. Appena è sceso di nuovo qui mi ha chiesto di fidanzarci ufficialmente. Che non era un gioco come adesso, una prova, un vediamo come va. Era un affare serio! Era una promessa! Ho detto di sì. 6 mesi dopo, al rientro ufficiale dal militare ci siamo sposati.»
«Ma nonna! Subito? Così senza conoscervi?»
«Ti sbagli, io e il nonno ci siamo conosciuti, e molto bene anche. Io ho conosciuto i suoi pregi e lui i miei, e infine i difetti… e il nonno come sai ne ha ben tanti! Ma sono i difetti che lo rendono l’uomo che mi ha sorriso con gli occhi quel giorno sotto il balcone, e io quegli occhi non li ho mai voluti cambiare. Io e il nonno abbiamo scelto di non scappare dai difetti l’uno dell’altra, di non buttarli pensando di trovare di meglio, ma di perdonarci per gli sbagli e di ritrovarci sempre. Io e il nonno abbiamo scelto di conoscerci, per 50 lunghi anni. E ancora oggi continuiamo a conoscerci.»

Una rosa per amarsi

«Come fai a capire se un uomo ti piace veramente?»

«Lo capisco da tante cose. Ad esempio quando mi regala una rosa.»

«Ah ami i fiori?»

«No, per niente. Innanzitutto non ho il pollice verde, un fiore con me muore subito. Mi secca cambiare l’acqua e tutte quelle cose lì… Lo scordo e non ho il tempo né la voglia. Poi il mio primo fidanzato me ne aveva regalati così tanti, ogni volta che doveva farsi perdonare, che da quel momento non li ho più sopportati. Le rose poi… le sopporto ancora meno! Sono banali. Il primo fiore a caso che tutti regalano. Impegnati un po’, no? Studia chi ami, trova qualcosa di particolare. Scopri il suo fiore preferito.»

«Quindi che succede quando ti regalano dei fiori?»

«Li butto subito, manco a fare la fatica di prendere un vaso, pulirli, sistemarli. Ma… quando qualcuno mi piace davvero tutto cambia. Scelgo il vaso più bello che ho a casa, la stanza e l’angolo migliore per la luce, l’acqua ogni giorno pulita. E poi…»

«E poi?»

«Devi sapere che quando ero piccola avevo provato a conservare qualche rosa che mi avevano regalato. Volevo il ricordo. Ma non ci riuscivo mai: se aspettavo che morisse e poi la conservavo seccava, e quando la riprendevo si sbriciolava tra le mani. Un giorno mi si è avvicinata mia nonna, mi ha sorriso, e mi ha detto “Non aspettare che la rosa sia morta del tutto, prima che accada prendila e taglia il gambo; non interamente, devi lasciarne un pezzettino. Poi mettila a testa in giù, al buio, dentro un cassetto o un mobile. E lasciala lì per alcuni giorni, anche una settimana. Quando la prenderai vedrai che è morta, sì, ma non si sbriciola. Avrà la consistenza perfetta e la conserverà sempre. Così tu avrai il tuo ricordo”. Provai e funzionò.»

«Un bel da fare per una che non ama i fiori.»

«Esatto. Ecco perché quando un uomo mi regala una rosa, se io la guardo, e sento già che la metterò al buio per poterla conservare, vuol dire che quell’uomo è qualcuno di importante per me.»