“Ciao amore mio.”
Fu questa la prima fase che scrissi in un foglietto un giorno che mi mancavi così forte da non riuscire più a tenerlo dentro di me. Eravamo già lasciati da un po’, ma questo non sempre riesce a cambiare un sentimento.
Tutte le volte che prendevo il telefono poi non riuscivo a chiamarti, né inviavo alcun messaggio. Quando passavo sotto casa tua rallentavo sperando di incontrarti, spesso facevo anche qualche giro in più, ma di scendere dall’auto ed aspettarti non riuscivo.
Così quel giorno presi un foglio e ti raccontai la mia giornata, tutto quello che avrei voluto dirti se fossi stato ancora accanto a me.
Ti scrissi anche il giorno seguente, e quello dopo ancora. Ti raccontai di quando mi venne la febbre, di quando mi licenziarono, e di quella volta che il mare mi sembrava così bello da vedere noi due riflessi insieme sulla superficie dell’acqua. Ti ho raccontato anche di quelle volte in cui mi mancavi così tanto che non sapevo più cosa fare. E allora combinavo guai, prendevo strade sbagliate per non sentire quel vuoto, ti provocavo a distanza nella maniera più stupida, sbagliando innanzitutto io con me.
Su quei fogli ti raccontai anche di quella volta che, andando a prendere una birra per lavoro, mi ritrovai attorniata da uomini che facevano a gara per emergere ai miei occhi. Poveri illusi, non capivano che i miei occhi erano di un altro? Quella sera mi capitò di sorridere più volte da sola, volgendo lo sguardo altrove insieme ai pensieri, immaginando di raccontarti tutto e di vederti ingelosire in quel modo quasi buffo che mi faceva così ridere. Ti ho raccontato di quei giorni in cui fingevo che tutto andasse bene, quei giorni più duri, quelli dove sorridi alla gente ancora più forte perché nessuno possa accorgersi dei colpi bassi della vita, del dolore che ti riserva proprio quando non te l’aspetti.
Sì, me lo ricordo ancora il primo giorno che presi un foglio per scriverti. Terminava così: “Ti scriverò, ogni giorno, così quando ci rincontreremo saprai che ti ho tenuto sempre con me.”
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Non smettere di lottare
Un padre che lotta per sua figlia
avrà sempre il mio rispetto.
Quando ti conobbi fu la mia
promessa del primo giorno:
farò sempre un passo indietro
di fronte a lei.
Ma non ti avevo detto che con lei
intendevo anche l’amore per lei.
Per questo resto qui, in silenzio.
Perché lo so che sei ancora
dentro la battaglia.
Anche se lo so che non c’è guerra che tu non riuscirai a vincere.
Che non c’è limite d’amore
che ti potrà fermare.
Un padre che lotta per sua figlia
avrà sempre il mio rispetto.
Proprio perché io figlia
non lo sono stata.
Proprio perché il mio padre
non lo è stato.
Per questo so perché io sono qui e tu sei lì.
E forse meglio così.
Io ti tengo tra le mie braccia
da lontano, e se chiudi gli occhi puoi sentirmi.
Ti tengo come riusciva a rasserenarti:
la tua testa sulle mie gambe,
gli abbracci stretti sul divano,
la mano mentre guidi,
e cuore su cuore la notte.
Gli odori della nostra vita
Ci sono odori e profumi che non possiamo dimenticare, nemmeno a distanza di mesi o anni. Perché sono gli odori che hanno fatto da colonna sonora ai momenti più importanti della nostra vita.
Quando ci riferiamo a questo tipo di odori, non intendiamo il profumo in sé, cioè quello confezionato che ogni persona usa. Anche se è vero che spesso amiamo il profumo che qualcuno indossa, e ci capita di risentirlo negli altri o semplicemente in giro, quello di cui parliamo è un altro tipo di profumo.
È un odore che non si sente soltanto con il naso, con l’olfatto. È un odore che si sente con la pelle, con gli occhi e con l’anima. Sono quei profumi che ti entrano dentro, senza che te ne accorgi, e poi ti restano. Sono i profumi che più ti scombussolano, che ti provocano emozioni, belle o brutte che siano. Che ti evocano ricordi e ti fanno rivivere costantemente lo stesso momento di quando l’hai sentito.
Questo tipo di profumo non sempre ha una spiegazione. Tu cammini per strada, senti un profumo e lo colleghi a qualcosa. Non sempre focalizzi subito cosa. A quanti di noi è capitato di dire “mi ricorda qualcosa ma non so cosa”. Ecco. Non sempre un profumo è immediato. Non sempre l’associazione è chiara. Magari dentro di voi quell’odore è entrato, e li è rimasto, ma senza che voi ve ne siate accorti. O forse l’associazione è dolorosa, il ricordo di quel momento o di quella persona lo è, e allora inconsciamente lo rimuovi, non lo accetti, non vuoi sentirlo. Il più delle volte questa lotta interiore con noi stessi è inutile. Un odore ti entra dentro e lì resta.
I primi profumi che ricordiamo sono di solito associati a periodi della nostra infanzia. Penso che ognuno di voi ha il suo, o anche di più.
Io il primo che ricordo lo associo a mia nonna. Che poi è la persona che mi ha cresciuta. Una mamma. Ed è quello della salsa. Ne associo molti altri a lei, ma questo è quello più forte. Si alzava prestissimo per farla. Il profumo saliva su per le scale, oltrepassava due piani. Non ho più conosciuto nessuno che facesse la salsa come mia nonna. Io poi nemmeno ne mangio. Mangiavo la sua però. La mangiavo non con la bocca ma col naso, quasi. Anche mia madre a casa la faceva, ma non era come quella di nonna. Nessuna salsa lo è mai più stata. Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di magico in quel sugo. Forse era la combinazione perfetta del sale e dello zucchero. O forse i pomodori che sceglieva con cura. O forse quel modo di girarla alla perfezione, mentre per la casa riecheggiava il borbottio della padella scoppiettante. Io nemmeno arrivavo ai fornelli, piccola com’ero. E poi a nessuno era permesso mettere le mani mentre la nonna cucinava, la salsa soprattutto. Però io ero speciale, a me lo permetteva. Per aiutarmi ricordo che prendeva una sedia, mi aiutava a salire e finalmente la mia altezza combaciava con i fornelli. Mi dava il mestolo e avevo il permesso di girarla. Nel senso in cui mi diceva lei, correggendomi quando sbagliavo il senso o l’andatura.
Ai nonni penso che i nipoti associno un sacco di odori. Mio nonno ad esempio, appena il giardiniere andava via, mi prendeva per mano e mi portava in giardino. Ci sedevamo sull’erba, lì in campagna e mi diceva di respirare. Si sentiva l’odore dell’erba appena tagliata. Non credo amassi particolarmente la campagna io, sono sempre stata più un tipo da città, fin da piccola, però il nonno riusciva a farmelo amare quell’odore. Mi diceva che era l’odore di rinascita. Il prato tagliato era la metafora della vita: quando qualcosa non va più bene non si può restare immobili né aspettare, bisogna fare qualcosa. Si taglia la parte che non va bene, ma non si toccano le radici, la parte più vera e profonda di noi stessi. E come il prato riprende a respirare, anche noi possiamo riprendere a farlo. Non saprei dire se da grande sono stata così brava a rispettarla questa metafora. Ma so che l’odore è rimasto.
Però gli odori non sono soltanto così specifici: salsa = nonna, erba = nonno. Di questi possiamo averne a migliaia. Tanti odori che associamo ad una madre, ad un padre, ad un familiare caro o ad altri. Io in realtà non mi ero mai soffermata a pensare agli odori. Ho iniziato quando ne sentivo uno e non sapevo spiegare quale fosse. Mi riferivo al profumo dell’estate. Io questa stagione non l’ho mai amata particolarmente, amo il mare sì, ma non ho ricordi belli e importanti collegati. Quando è arrivata ho iniziato a guardarmi in giro, mi sentivo circondata da odori. Senza nulla di specifico. E li associavo tutti ad una persona. Che fa parte del passato. Che non fa più parte della mia vita, ma che ha reso per la prima ed unica volta nella mia vita, un’estate speciale. Forse perchè odorava di felicità, di sentirsi amata, finalmente. Allora mi sono accorta che ogni tratto d’estate, ogni raggio di sole, ogni luce di luna, ogni sera stellata, ogni frastuono di bambino e di vita fino a tardi me lo ricordava. È stato lì che ho capito che un odore può essere qualcosa di indefinito. L’odore di una stagione, senza nulla di specifico ma tutto che si associa.
Così mi sono interrogata. Ho iniziato a riflettere sugli odori indefiniti e non specifici. E mi sono accorta che sono un sacco quelli che possiamo associare.
Ad esempio c’è l’odore dei fallimenti. È l’odore di quando volevi far qualcosa ma non hai potuto, di quando ci credevi ma non è andata. L’odore di quando non ci sei riuscito.
Poi c’è l’odore della rabbia. Quando sei così arrabbiato con il mondo che vorresti spaccarlo tutto, pezzo per pezzo. Quando sei così arrabbiato che quasi non respiri. L’odore di quando vorresti urlare piangere e colpire un muro. E invece quella rabbia è così grande che non riesci a fare nulla. Quel dolore che se ne sta lì, immobile dentro di te. Ecco, l’odore del dolore. Il più forte di tutti, quello che ti resta dentro l’anima. Non credo esista un solo odore per il dolore.
Il dolore, di solito, è collegato ad un momento o ad una persona, e avrà un odore che non sarà uguale per ogni brutto momento o per ogni persona che ci ha fatto male. Però il dolore è universale. Il petto che si spacca, le gambe che vacillano, il cuore preso e frammentato. È quello. L’odore di quando credi di non farcela. Di non potercela fare. L’odore del vuoto che ti resta dopo, quando il dolore ti cambia. Ti svuota e ti fa chiudere alla vita. Anche se non glielo dovremmo permettere. Anche se dovremmo ricominciare ogni giorno come se non avessimo mai sofferto, ma non si può.
L’odore della rabbia, del dolore, della paura. Figli della stessa madre.
L’odore dell’abbandono. Non ti ho trovato più.
E poi c’è l’odore del tempo. Quando la vita ci scappa tra le mani e ci sentiamo in ritardo. Come sei arrivato fino a qui? Di già? Avevi tanti progetti, tanti sogni, dove sono finiti? L’odore del tempo che corre. Che non si ferma. Che non ti aspetta. I rimpianti ed i rimorsi. “Avrei potuto dire, avrei potuto fare”, “e se…”. E mentre pensiamo a tutto quello che non è andato, a tutto quello che avremmo voluto fare e non abbiamo fatto, a tutti gli errori commessi, il tempo continua a passare. E noi ne perdiamo dell’altro.
E poi ci sono i due odori più importanti: quello dell’oggi e quello del domani.
L’oggi profuma della mia migliore amica. Lei ha tutti i profumi della mia vita. Odora di pollo al curry, di cocco e di vaniglia. Ma odora anche di Casa, di un porto sicuro, di notti tra lacrime che diventano sorrisi. Odora di mani che ti tengono. Di abbracci sentiti, pochi. Ma forti. Odora di cose mai conosciute e d’improvviso scoperte. Di fiducia. Di rispetto. Di ritorni. Di litigi e di pace. Odora di famiglia, di chi puoi contare, di chi c’è. Odora di silenzi, che non pesano perché sanno già parlare. Odora di serenità. Di racconti complici mettendo a nudo tutta te stessa. Lei ha tutti gli odori che sento in giro. Odora di Vita. Odora di Amore, qualunque forma sia.
L’odore del domani non lo conosco. Nessuno di noi lo conosce. Mi piace pensare che sia un odore bello, che la felicità si farà sentire. Che non può girare sempre contrario il vento. Ma se così dovesse essere va bene anche perché, alla fine, gli odori che ci hanno fatto più male sono anche quelli che ci hanno reso così forti come siamo oggi.
Siamo chi siamo più per il dolore vissuto che per le cose belle, e se impariamo a pensare che tutto accade per un motivo possiamo accettare qualsiasi vento contrario.
Il coraggio di tenersi
L’amore richiede fatica,
sforzo e coraggio.
Perchè per restare
ci vuole innanzitutto questo:
il coraggio di tenersi.
Amarsi, tenersi. Oggi sembra impossibile. Bisogna ritrovare la forza di Amare.
Guardiamo le coppie di anziani che si tengono per mano e ci sembra un traguardo impossibile da raggiungere. I loro sguardi complici e colmi di tenerezza ci commuovono, tutto ci sembra così distante dal mondo di oggi. Ci guardiamo intorno, guardiamo tra noi, e quell’amore unico, forte, frutto di una vita insieme ci sembra pura utopia. Dov’è l’errore? Cos’è successo ai sentimenti di oggi?
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